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Le leggi del mercato

di Massimo Bambara

La parola mercenario viene usata in senso dispregiativo, quando invece ha un significato eminentemente descrittivo.

Tutti i calciatori sono mercenari per definizione, in quanto (salvo rare eccezioni) si muovono alla ricerca di contratti sempre maggiori.

Ciò in quanto hanno un arco temporale limitato per poter guadagnare grandi cifre. I tifosi si affezionano ai giocatori e pretendono da loro un atteggiamento fideistico che mail si concilia con la loro professione.

Così nel momento in cui vanno via, parte l’anatema di “mercenario”. Come se fosse un’onta da cancellare. Invece è la realtà.

La differenza è che quando il mercato italiano era in auge e le nostre squadre potevano permettersi i Big, nessuno discettava sui soldi e sulla moralità delle spese.

Oggi invece è un continuo “dagli allo sceicco”, “dagli alla società cattiva che vende per soldi”, “dagli al giocatore che non ama la maglia (condizione contrattuale peraltro non richiesta)”.

Nel giro di pochi anni purtroppo, lo scenario economico è cambiato. I grandi imprenditori italiani che prima potevano permettersi di investire certe cifre nel calcio, adesso non possono più farlo. La Serie A come prodotto è solo il quarto campionato europeo e non più il primo, con le inevitabili conseguenze sui ricavi delle società.

I tifosi dovrebbero avere il buon senso di capire questo scenario e di porsi in un’ottica costruttiva verso il futuro. Invece la reazione che va per la maggiore sono urla, strepiti, catastrofismo puro applicato al Milan, ricerca di un colpevole o di un cattivo cui addossare colpe di cui si disconosce la provenienza.

Tutto molto umano, ma, nella sua dimensione infantile, decisamente poco consono alla ragione e all’analisi.

Si può essere tifosi passionali, scindendo l’emotività delle partite dalla razionalità dei momenti. Il mercato ha le sue leggi e dobbiamo accettarle sia quando ci portano dei vantaggi, sia quando ci chiedono dei sacrifici.

Milton Friedman, a mio modo di vedere il più grande economista italiano del 900, avrebbe liquidato la questione con una delle sue classiche frasi, tanto tautologiche quanto significative:”it’s the economy, stupid!”